FENOMENI COLLEGATI
Meno
di 2 figli per donna, tra 2 e 4, più di 4: a questi 3 tipi di
natalità corrispondono tre differenti gruppi di paesi nel mondo.
Si tratta di paesi
industrializzati e ricchi, che, per la maggior parte, hanno iniziato
la transizione demografica da più di un secolo, ad eccezione della
Cina, la cui transizione è appena iniziata, e che conserva ancora
province povere.
Questi paesi non
sono più in grado di garantire, salvo eccezioni, il rinnovamento
naturale della propria popolazione se non grazie al fenomeno
migratorio.
Un secondo gruppo
di paesi è quello in cui il livello di natalità si è abbassato, ma
garantisce ancora il rinnovamento della popolazione. Fanno parte di
questi il Messico e la maggior parte dei paesi dell'America latina.
Sono presenti anche paesi del Maghreb e dell'Africa meridionale,
numerosi paesi del Medio Oriente, le repubbliche a sud della Russia,
il sub continente indiano e i paesi del Sud Est asiatico. Si tratta
di paesi in cui si sta verificando un veloce processo di sviluppo
economico, che non elimina però ampie zone ad alta soglia di
povertà.
Infine rimangono i
paesi, soprattutto in Africa, in cui la natalità supera i 4 figli
per donna.
Una delle cause
principali di questo fenomeno, oltre allo scarsissimo uso di tecniche
contraccettive, dipende da una ferma valorizzazione culturale delle
discendenze numerose.
Fonti: “La
popolazione mondiale”, Catherine Rollet, 2004. Cap. 4
Il meccanismo della crescita
demografica
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Tre sono le fasi
che caratterizzano e hanno caratterizzato la crescita demografica nei
vari paesi: la fase pre-moderna, la fase moderna e la fase
post-moderna.
Il primo caso è
definito da una demografia “naturale”, infatti sono presenti alti
tassi di natalità e alti livelli di mortalità che si bilanciano e
producono una situazione di equilibrio demografico.
In
quelle società, in cui il processo di modernizzazione innescato
dalla rivoluzione industriale è cominciato ed è progredito, a
partire dall'Europa, si è passati alla seconda: la transizione
demografica. Essa ha portato
progressivamente le popolazioni da elevati (cioè naturali) verso
ridotti (cioè controllati) livelli di fecondità e mortalità: in
questa fase si registra una rapidissima crescita della popolazione
per effetto dello sfasamento temporale tra l'anticipato calo della
mortalità ed il posticipato declino della natalità.
Nell'immagine sono
ripercorse le 4 tappe della transizione demografica. Dal grafico si
può valutare il passaggio da un regime demografico tradizionale
(tappa 1) ad un regime moderno (tappa 4). Inizialmente la mortalità
decresce (tappa 2), portando un notevole aumento della crescita
naturale, poi la natalità diminuisce (tappa 3), portando ad un nuovo
equilibrio.
L'ultima fase è
quella che sembra esser stata raggiunta dai paesi più
industrializzati come gli USA e i paesi dell 'UE: essa è
caratterizzata da un basso livello di mortalità e da un basso
livello di natalità che a volta è addirittura inferiore alla soglia
di sostituzione (pari a 2,1 figli per donna).
Vecchie e nuove malattie: fattori
sociali e ambientali come cause di decesso
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Queste “malattie
dell'abbondanza” caratterizzano i paesi più ricchi del mondo,
mentre nei paesi più poveri sussistono tutt'oggi malattie di
“vecchio stampo” come per esempio la malaria, il colera e la
peste. Con l'introduzione di insetticidi, medicinali, vaccinazioni,
disinfestazioni, l'efficacia dei metodi antivirali ha segnato con
successo il XX secolo, anche se nelle zone povere del mondo la
malaria continua a rimanere una delle principali cause di morte.
Nel 1981
comparirono inoltre i primi focali di una malattia tuttora incurabile
che minaccia la sopravvivenza di milioni di persone: l'Hiv/Aids.
L'Africa è il continente più colpito, e l'epidemia si sta
sviluppando anche nei paesi più popolosi del mondo come per esempio
l'India, rendendo questa malattia una vera e propria minaccia per la
sopravvivenza dei paesi più poveri.
Fonti:
“La popolazione
mondiale”, Catherine Rollet, 2004. Cap. 3
“La popolazione
del pianeta” Antonio Golini, 2003, Cap.1
Migrazioni:
l'altra faccia della globalizzazione
Il ribaltamento dei flussi
migratori
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Dopo la Seconda
Guerra Mondiale, si è assistito ad un cambiamento straordinario
nella dinamica delle migrazioni internazionali, che Alfred Sauvy,
demografo ed economista francese, ha definito “ribaltamento dei
flussi migratori”: non sono più i paesi del Nord ad alimentare le
partenze, ma quelli del Sud. Il mutamento riguarda anche il sesso e
la professione degli emigranti: si contano sempre più donne e coloro
che partono sono più qualificati di coloro che restano nel loro
paese per quanto riguarda i paesi sviluppati (la cosiddetta “fuga
di cervelli”).
Oggi, i flussi migratori sono
sempre motivati da differenze in termini di salari, dinamismo
demografico e sicurezza sociale. Si lascia il proprio paese d'origine
per scappare dalla fame, per avere un tenore di vita migliore, per
sottrarsi a pressioni (ideologiche o religiose) o per fuggire ad una
guerra.
Le migrazioni
presentano anche una veste “sostitutiva” ovvero servono a
rimpiazzare lo scompenso demografico presente in alcuni paesi
industrializzati anche se politiche rivolte a questo obiettivo non
sono state del tutto implementate.
Fonti:
“La popolazione
mondiale”, Catherine Rollet, 2004. Cap. 5
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