Contesto


FENOMENI COLLEGATI


Panorama della natalità nel mondo                 



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Meno di 2 figli per donna, tra 2 e 4, più di 4: a questi 3 tipi di natalità corrispondono tre differenti gruppi di paesi nel mondo.
La carta della natalità del mondo nel 2003, definisce in maniera accurata la situazione fortemente contrastante che esiste ancora oggi tra i diversi paesi. L'insieme di stati, che riunisce paesi dell'emisfero Nord (America settentrionale, Europa occidentale e orientale, Russia, Cina, Corea del Sud, Giappone) ad alcuni di quello Sud (Australia, Nuova Zelanda) ha una natalità uguale o inferiore a 2,1 figli per donna ( tasso minimo di sostituzione). 


Si tratta di paesi industrializzati e ricchi, che, per la maggior parte, hanno iniziato la transizione demografica da più di un secolo, ad eccezione della Cina, la cui transizione è appena iniziata, e che conserva ancora province povere.
Questi paesi non sono più in grado di garantire, salvo eccezioni, il rinnovamento naturale della propria popolazione se non grazie al fenomeno migratorio.

Un secondo gruppo di paesi è quello in cui il livello di natalità si è abbassato, ma garantisce ancora il rinnovamento della popolazione. Fanno parte di questi il Messico e la maggior parte dei paesi dell'America latina. Sono presenti anche paesi del Maghreb e dell'Africa meridionale, numerosi paesi del Medio Oriente, le repubbliche a sud della Russia, il sub continente indiano e i paesi del Sud Est asiatico. Si tratta di paesi in cui si sta verificando un veloce processo di sviluppo economico, che non elimina però ampie zone ad alta soglia di povertà.

Infine rimangono i paesi, soprattutto in Africa, in cui la natalità supera i 4 figli per donna.
Una delle cause principali di questo fenomeno, oltre allo scarsissimo uso di tecniche contraccettive, dipende da una ferma valorizzazione culturale delle discendenze numerose.

Fonti: “La popolazione mondiale”, Catherine Rollet, 2004. Cap. 4




Il meccanismo della crescita demografica


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Tre sono le fasi che caratterizzano e hanno caratterizzato la crescita demografica nei vari paesi: la fase pre-moderna, la fase moderna e la fase post-moderna.
Il primo caso è definito da una demografia “naturale”, infatti sono presenti alti tassi di natalità e alti livelli di mortalità che si bilanciano e producono una situazione di equilibrio demografico.



In quelle società, in cui il processo di modernizzazione innescato dalla rivoluzione industriale è cominciato ed è progredito, a partire dall'Europa, si è passati alla seconda: la transizione demografica. Essa ha portato progressivamente le popolazioni da elevati (cioè naturali) verso ridotti (cioè controllati) livelli di fecondità e mortalità: in questa fase si registra una rapidissima crescita della popolazione per effetto dello sfasamento temporale tra l'anticipato calo della mortalità ed il posticipato declino della natalità.
Nell'immagine sono ripercorse le 4 tappe della transizione demografica. Dal grafico si può valutare il passaggio da un regime demografico tradizionale (tappa 1) ad un regime moderno (tappa 4). Inizialmente la mortalità decresce (tappa 2), portando un notevole aumento della crescita naturale, poi la natalità diminuisce (tappa 3), portando ad un nuovo equilibrio.

L'ultima fase è quella che sembra esser stata raggiunta dai paesi più industrializzati come gli USA e i paesi dell 'UE: essa è caratterizzata da un basso livello di mortalità e da un basso livello di natalità che a volta è addirittura inferiore alla soglia di sostituzione (pari a 2,1 figli per donna).




Vecchie e nuove malattie: fattori sociali e ambientali come cause di decesso


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Abitudini di vita, come l'adozione di regimi alimentari con troppi grassi o troppo sale, gli eccessi nell'alcol o nel tabacco, la mancanza di esercizio fisico, spiegano l'aumento di quella serie di “nuove” malattie (non derivanti direttamente da agenti virali) che mietono ogni anno un numero elevatissimo di vittime. Per esempio nella Russia di Gorbaciov (tra il 1985 e il 1986) si verificò un netto aumento della speranza di vita, grazie alle misure restrittive nei confronti dell'alcolismo.



Queste “malattie dell'abbondanza” caratterizzano i paesi più ricchi del mondo, mentre nei paesi più poveri sussistono tutt'oggi malattie di “vecchio stampo” come per esempio la malaria, il colera e la peste. Con l'introduzione di insetticidi, medicinali, vaccinazioni, disinfestazioni, l'efficacia dei metodi antivirali ha segnato con successo il XX secolo, anche se nelle zone povere del mondo la malaria continua a rimanere una delle principali cause di morte.



Nel 1981 comparirono inoltre i primi focali di una malattia tuttora incurabile che minaccia la sopravvivenza di milioni di persone: l'Hiv/Aids. L'Africa è il continente più colpito, e l'epidemia si sta sviluppando anche nei paesi più popolosi del mondo come per esempio l'India, rendendo questa malattia una vera e propria minaccia per la sopravvivenza dei paesi più poveri.

Fonti:
“La popolazione mondiale”, Catherine Rollet, 2004. Cap. 3
“La popolazione del pianeta” Antonio Golini, 2003, Cap.1




Migrazioni: l'altra faccia della globalizzazione
Il ribaltamento dei flussi migratori

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Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è assistito ad un cambiamento straordinario nella dinamica delle migrazioni internazionali, che Alfred Sauvy, demografo ed economista francese, ha definito “ribaltamento dei flussi migratori”: non sono più i paesi del Nord ad alimentare le partenze, ma quelli del Sud. Il mutamento riguarda anche il sesso e la professione degli emigranti: si contano sempre più donne e coloro che partono sono più qualificati di coloro che restano nel loro paese per quanto riguarda i paesi sviluppati (la cosiddetta “fuga di cervelli”).

 Oggi, i flussi migratori sono sempre motivati da differenze in termini di salari, dinamismo demografico e sicurezza sociale. Si lascia il proprio paese d'origine per scappare dalla fame, per avere un tenore di vita migliore, per sottrarsi a pressioni (ideologiche o religiose) o per fuggire ad una guerra.
Le migrazioni presentano anche una veste “sostitutiva” ovvero servono a rimpiazzare lo scompenso demografico presente in alcuni paesi industrializzati anche se politiche rivolte a questo obiettivo non sono state del tutto implementate.
Fonti:
“La popolazione mondiale”, Catherine Rollet, 2004. Cap. 5


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